Hai sentito parlare di Psicologia Positiva? Lo so, il nome trae un po’ in inganno. E so cosa stai pensando… “è mica quel pensiero positivo di cui si sente spesso parlare? è la psicologia che elimina le emozioni negative e prende in considerazione solo quelle positive?”.
In realtà no. Ma facciamo un passo indietro per capire cos’è.
Prima della Seconda Guerra Mondiale, “la psicologia aveva tre missioni distinte: curare i disturbi mentali, rendere la vita di tutte le persone più produttiva e appagante, e identificare e coltivare talenti di alto livello” (Seligman e Csikszentmihalyi, 2000, p. 6). Lo dimostrano anche alcuni temi indagati in quel periodo, come gli studi di Watson sulla genitorialità efficace (1928; Seligman, Csikszentmihalyi, 2000), il lavoro di Jung sulla scoperta del significato della vita (1933; Seligman, Csikszentmihalyi, 2000), la felicità coniugale (Terman, Buttenwieser, Ferguson, Johnson, Wilson, 1938; Seligman, Csikszentmihalyi, 2000) e gli studi di Terman sul talento (1939; Seligman, Csikszentmihalyi, 2000).
Successivamente, intorno alla metà del secolo scorso, venne fondato l’Istituto Nazionale della Salute Mentale negli Stati Uniti, il primo istituto specializzato nella ricerca e nella cura dei disturbi mentali, che riconobbe l’importanza di studiare i disturbi psicologici e sostenere economicamente i professionisti che si occupavano di ricerca. Grazie a questo Istituto la psicologia fece passi avanti enormi considerando che in quegli anni gran parte dei disturbi che oggi conosciamo non erano né riconosciuti né trattabili.
La Psicologia, per cui, iniziò a concentrarsi maggiormente sull’indagine e la cura dei sintomi. L’attenzione alla patologia ha chiaramente portato a numerosi vantaggi, tra cui la comprensione di diversi disturbi e tratftamenti efficaci, però, ha portato la Psicologia a mettere da parte le altre due missioni fondamentali, trascurando “l’individuo realizzato e la comunità fiorente”.
Circa 10 anni dopo, Maslow e Rogers con la Psicologia Umanistica svilupparono un nuovo approccio clinico teso alla valorizzazione della dignità della persona e dello sviluppo del suo potenziale latente, che considerava la persona un soggetto attivo con un bisogno innato di crescita e di affermazione. Questo filone creò le basi per lo sviluppo della Psicologia Positiva, la cui missione può essere riassunta dalle parole di Seligman e Csikszentmihalyi (2000):
“La psicologia non è solo lo studio della patologia, della debolezza e del danno; è anche lo studio della forza e della virtù. Il trattamento non è solo riparare ciò che è rotto; è nutrire ciò che è intatto. La psicologia non è solo una branca della medicina che si occupa della malattia o della salute; è molto di più. Riguarda il lavoro, l’istruzione, l’intuizione, l’amore, la crescita e il gioco.” (ibidem, p. 7).
Per cui, con la comparsa della Psicologia Positiva avviene uno spostamento dell’attenzione dalla patologia alla quella che viene definita apitologia. Il termine patologia lo conosciamo ampiamente, deriva dal greco pàthos che significa sofferenza e ha un significato più ampio in relazione alla malattia in generale.
Varey (2008) elabora il termine apitologia e riguarda il campo di studio che si occupa di identificare e migliorare le dinamiche che consentono il sano sviluppo dei sistemi. Dal latino apex, ossia apice, vertice, prende il significato di apice della vita per intendere uno stato particolare di benessere
Il termine apitologia, nel campo della Psicologia Positiva, viene sostituito con il termine eudaimonia o flourish (funzionamento ottimale).
La parola greca eudaimonia si riferisce ad uno stato di benessere che comprende la soddisfazione personale dell’individuo e la sua collocazione nel mondo.
Flourishing, o funzionamento ottimale, è un termine elaborato da Seligman che si riferisce a cinque costrutti che ci permettono di esperire benessere. Questo psicologo considera il benessere un costrutto multidimensionale, cioè formato da diverse dimensioni/fattori, e dato dal sentirsi bene, ma anche dall’avere buone relazioni, dallo sperimentare riuscita e realizzazione, dal rintracciare un senso nella propria storia e dall’essere coinvolti in ciò che viviamo.
Gli psicologi che si sono dedicati allo studio della psicologia positiva ci tengono a precisare che i risultati di ricerca di questa branca hanno lo scopo di integrare, e non sostituire, ciò che è noto sulla sofferenza umana, la debolezza e i disturbi. Ed è un tentativo di sollecitare i professionisti della salute mentale ad adottare una prospettiva più aperta e riconoscente sui potenziali, sulle motivazioni e sulle capacità umane.
Dunque, la Psicologia Positiva attua un processo di cambiamento all’interno della psicologia.
Uno spostamento dell’attenzione dalla malattia alle risorse, dai limiti alle opportunità.
Questo approccio ai punti di forza ci invita a guardare in modo diverso le persone, le famiglie e le comunità. Ci spinge a comprendere che tutti hanno competenze, talenti, valori, speranze e risorse interne ed esterne. E queste risorse non ancora utilizzate possono essere sfruttate, con l’aiuto dei professionisti, per aiutare l’utenza a raggiungere i propri obiettivi, a superare gli ostacoli e migliorare la qualità della vita.
Per cui, è importante notare che nessun autore vuole sostituire o scartare lo studio dei problemi umani. Gli studiosi della prospettiva strengths-based sostengono che è importante integrare i due approcci (Seligman & Csikszentmihalyi, 2000). In effetti, questa integrazione è già più evidente in alcuni campi specifici della Psicologia, come il Lavoro, la Formazione o lo Sviluppo.
Inizia ad essere un po’ più interessante la Psicologia Positiva vista in questa prospettiva, vero?
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